Parole parole parole: FERIE, FIERE, FERIALE

Pasquale Gerardo Santella 17 Dicembre 2020

Questa settimana ospitiamo il prof. Giuseppe Casillo, studioso della classicità, che ci ha inviato questo interessante e curioso contributo.

Vi sono alcuni termini che sembrano esprimere una palese contraddizione. È ciò che avviene con la ‘parola “ferie” e l’aggettivo “feriale”. Con il primo termine si intende un periodo più o meno lungo di sospensione dell’attività lavorativa per un tempo di disimpegno e di riposo. L’aggettivo, invece, che pure è un derivato di tale parola, sta ad esprimere un significato del tutto opposto: i giorni “feriali” sono quelli lavorativi, del tutto distinti da quelli “festivi”.

Come spiegare questa contrapposizione? Bisogna fare un passo indietro e risalire ai Romani antichi, che per primi usarono la parola Feriae. Nel calendario romano i giorni venivano classificati, in rapporto al fas, in “fasti” e nefasti”, e in rapporto allo ius in “festi” e “profesti”.

La prima serie definiva i giorni in rapporto all’attività umana, per cui erano fasti quei giorni in cui era consentito(=fas) fare certe cose, e nefasti quelli in cui non era lecito svolgere alcuna attività.

La seconda serie, invece, definiva i giorni in rapporto allo ius, ossia al diritto degli dei di vedere riservati per sé determinati giorni dell’anno, durante i quali gli uomini dovevano fare sacrifici e venerare il loro culto.

Erano questi i giorni festivi, nei quali non era consentito svolgere attività che distraessero dalla venerazione degli dei. Per dare un’idea delle interdizioni imposte all’uomo durante i giorni riservati al culto, nei giorni “festi” non era consentito tracciare solchi, seminare, falciare il fieno, vendemmiare, irrigare i campi, celebrare processi, tenere riunioni politiche, celebrare matrimoni.

Per le attività lavorative vi erano i “profesti”, ossia i rimanenti giorni dell’anno. Avveniva, così, che tutti i giorni dedicati agli dei, e quindi festivi, fossero nefasti per l’uomo, perché in essi era proibito svolgere qualsiasi lavoro.

Le “feriae”, intese come giorni di festa da dedicare esclusivamente agli dei, rimangono valide per tutta la romanità. Con l’avvento del cristianesimo il significato del termine si connota di una certa ambiguità. Infatti, a partire dai primi secoli dell’impero, con l’affermarsi del calendario settimanale i sette giorni ebbero una nuova denominazione. Si chiamarono, feria prima, feria secunda, feria tertia, feria quarta, feria quinta, feria sexta, feria septima.

Il primo giorno era quello dedicato al Signore, era cioè la dies dominica, quindi la più importante e pertanto quella che recepiva in tutto e per tutto i caratteri della festività. Gli altri giorni (che, al tempo di Costantino nel 321, a partire dal secondo della settimana assunsero il nome di dies lunae, dies Martis, ecc.) erano quelli dedicati al culto dei santi. Erano quindi ugualmente dei giorni “festivi” (di qui il nome di feria), ma solo sotto l’aspetto religioso, mentre sul piano lavorativo non comportavano astensione dall’attività pubblica e privata.

Da allora il termine “feriale” ha assunto il significato di “lavorativo”. Recuperata in questi termini la questione, la nostra” fiera” (che pure deriva dall’antico feriae), in quanto organizzata intorno al culto di un santo sta ad indicare un periodo di uno o più giorni di festa religiosa, al di fuori della domenica, in cui il lavoro e l’attività dei mercati sono particolarmente fiorenti.

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