Parole parole parole: NAPULE
Pasquale Gerardo Santella 7 Gennaio 2021L'etimologia del nome Napoli deriva dal termine greco Neapolis, che significa «città nuova», e risale al 475 a. c., quando i coloni greci residenti a Cuma, per ragioni difensive, estesero il territorio fino all’attuale centro storico e lo chiamarono Napoli per distinguerlo dall’originaria Partenope.
Il discorso potrebbe finire qui.
Ma nel dialetto Napoli si dice Napule e questo ci induce ad andare avanti per far rilevare ai lettori quanta poesia e quanta musica c’è nei suoni di questa parola.
Lo scopriamo attraverso l’analisi di una delle mie canzoni preferite: Napule è di Pino Daniele.
Ogni volta che la ascolto sono avvolto in una dimensione multisensoriale. Tutte le mie percezioni sono sollecitate, interferiscono e si fondono tra di loro. Ascolto parole e musica, vedo le immagini mentali che esse richiamano, il mio corpo è pervaso dai suoni che vi si scagliano contro, avverto l’odore che emana dalla città, sento dentro il gusto dolceamaro della sua vita.
E soffermiamoci sulla nostra città, Napule, non Napoli, perché sul piano fonico semantico dire Napule non è la stessa cosa che dire Napoli. Consideriamo i suoni vocalici della parola: a, u, e.
A- suono ampio, trasmette immagini di calma, distensione, una condizione di gioia interiore, di apertura all’altro, un senso di accoglienza ed ospitalità, un sentimento di speranza. Si evocano mille culure, n’addore ‘e mare, ‘na cammenata inte viche miezo all’ate.
U- suono cupo, chiuso, richiama un vicolo stretto e buio, trasmette immagini di paura, come quel sentimento che spesso ha caratterizzato la storia di Napoli sul piano geografico (terremoti, eruzioni, pestilenze), sociale e politico (invasioni e domini stranieri, mala amministrazione, connivenze con la criminalità organizzata). Si colgono gli aspetti negativi e tragici: ‘na carta sporca, mille paure, paura di parlare, di vivere, di morire, inquinamento, degrado, disoccupazione, violenza, camorra, ruberie di politici e burocrati.
E- suono semiaperto, implica note dolenti, tenui, nostalgiche, una sorta di lamento sommesso ma continuo che accompagna la vita della città: un pendolo che oscilla tra rassegnato scetticismo e fiammate improvvise di passione. Ma anche ‘a voce d’e criature che saglie chianu chianu / e tu saie ca nun sì sulo, che è la fiducia nei giovani e nel futuro, che non viene meno. Napule è tutto nu suonno: in napoletano la parola suonno indica sia il sonno, il dormire, che il sogno. Pino gioca su questa ambiguità. Il sogno richiama la sincera commozione di fronte alle bellezze della città, il sonno è quello della ragione di fronte ad una lunga storia di tragiche assurdità, come quella dei martiri del ’99.
È non è un semplice predicato nominale cui seguono una serie di attributi. È non indica solo l’essere, ma anche l’esserci, lo stare dentro la vita nella quale siamo gettati al momento dell’espulsione dal ventre materno, all’interno di un contesto sociale e umano: la condizione dell’esistere di ogni giorno.
Un esistere che, temprato nel quotidiano e faticoso mestiere del vivere, è anche un resistere, cioè quella condizione esistenziale che ci permette oggi, sempre, di testimoniare la nostra dignità di esseri umani.