ANTONIO MAROTTA PRESENTA "CREDO SIA IL CASO": NOTE SPETTINATE DI VISIONE, ASCOLTO E LETTURA

P. Gerardo Santella 30 Maggio 2022
ANTONIO MAROTTA PRESENTA "CREDO SIA IL CASO": NOTE SPETTINATE DI VISIONE, ASCOLTO E LETTURA

Su un divano marrone poggiato su una parete investita da un alone di luce diffusa sono posati, ammassati alla rinfusa, uno sull’altro vari pupazzi: orsacchiotti, cagnolini, una scimmietta, uno gnomo, personaggi di cartoni animati.

Una ragazza e un ragazzo si avvicinano, l’una decisa, l’altro incerto, ne prendono uno ciascuno e si allontanano; ritornano più volte e continuano a portarne via qualcuno fino a che, poggiato su un cuscino non ne rimane che uno solo: un giovane con lunghi capelli, labbra socchiuse, occhi sbarrati, volto atteggiato a una espressione triste e nostalgica, vestito casual, con una chitarra stretta tra le braccia. Il ragazzo cerca di sottrargliela, ma non ci riesce - è attaccata alle mani del pupazzo – e se ne va. Nell’ultimo fotogramma di questo unico piano sequenza la cinepresa si sofferma sul suo corpo immobile: nel suo volto statico sembra animarsi un moto di dignitosa fierezza.

Nello scorrere delle immagini vibrano note e parole, introdotte dall’espressione: “Credo sia il caso”, che è anche il titolo del video: un titolo ambiguo, come le immagini che da esso si generano: stranianti, quasi dissonanti rispetto a una musica lieve, suadente che le culla, come a voler ricreare uno spazio surreale e onirico, in cui i vari frammenti che lo attraversano richiedono di essere ricomposti in una trama organica.

Ma qui lo slittamento e lo stridore tra l’incontro di codici espressivi diversi (verbale, iconico, musicale) è voluto. Non si vuole raccontare una storia, né venire incontro all’orizzonte di attesa di un lieto fine dello spettatore /ascoltatore “disponibile”, proiettato in una atmosfera fiabesca. Solo, si vuole costruire con la magia delle parole/suoni uno spazio di trasmissione di sentimenti, la cui lingua si esprime per corrispondenze analogiche ed empatiche. Che è anche un invito ai fruitori a non fare come i due ragazzi del video, che vogliono portare via tutto, considerando i vari oggetti generi di consumo.  Rimangono ellissi da colmare, strappi da ricucire, presenze non consumabili che rivendicano la dignità di esserci, di dire, di tendere fili, di entrare in contatto con gli altri mediante gli strumenti della poesia.

Cosa potrebbe dire il finale “aperto” del video all’intelligenza e al sentire degli spettatori? Perché la chitarra rimane attaccata al corpo del suo possessore?

Il pupazzo nel suo profilo deformato, secondo una modalità meta-artistica, potrebbe richiamare l’autore, e la chitarra lo strumento funzionale ma anche simbolico della sua arte: la musica. Testo e immagini parlano di riflessione nella follia, smarrimento, afasia, deserto, corpi in disfacimento. Ma rimane la bellezza: quella dello spazio celeste, dove le stelle continuano a brillare, e quello del paesaggio terrestre in cui si leva il canto dell’artista, che è in grado di accogliere l’amore che viene dal mare. Si dipana un gomitolo di parole immagini voci suoni, che rigenerano continuamente la vita e tirano su dall’oscuro pozzo della memoria tremolanti ricordi che ritornano alla luce e richiamano i fantasmi del passato a riprendere il dialogo interrotto.

Il canto è rivolto a un “tu”, destinatario interno del testo, come rimarcato in due versi quasi uguali, di cui uno conclusivo: che parla di te..., Di te... Parla..., Di te... Parlo, caratterizzati da due significativi “segni”: il passaggio dalla terza alla prima persona, che implica anche il trasferimento a un io che si moltiplica e universalizza,  e l’interferenza dei puntini sospensivi che indicano pausa, sospensione, anche moto di sorpresa, trasalimento, meraviglia che precedono la magia dell’evocazione  e dell’ incontro.

Chi è questo “tu”? Quando anche fosse ispirato, e a parer mio lo è, da una persona reale lasciata volutamente nella vaghezza, in ogni caso nella materializzazione artistica appare come un “tu” prismatico, dai tanti volti, quanti gliene possono attribuire i lettori, legati alle loro storie personali, alla loro memoria, sensibilità, emozioni, intelligenza. Un “tu”, che non può farsi corpo/sensi, ma di cui possiamo ascoltare la voce dell’artista, che ne parla, restituendogli un afflato di vita attraverso la magia del canto.

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