Don Pierino Manfredi: una voce forte e pronta a darsi come dono
Luigi De Luca 27 Giugno 2022Capelli bianchi e abito talare nero, in sella ad una bicicletta Bianchi da passeggio e dall’inconfondibile presenza, lungo i fiumi di una ‘Babilonia’ che aveva ormai appeso le cetre ai salici non sapendo cantare le novità di un tempo che stava davvero cambiando. Non è di certo l’idolatrato don Matteo della Rai, ma don Pierino Manfredi, che agli inizi degli anni ’70 approdava come parroco nella comunità di Mater Dei di Palma Campania, restandovi fino al 2007. Una figura per tanti controversa, per alcuni sconosciuta, per altri, invece, rivoluzionaria.
A me sembra…
che l’intera vicenda di don Pierino Manfredi vada letta e contestualizzata nella concreta vita religiosa di una comunità di fedeli, come la parrocchia: un luogo dal “vissuto religioso”, da sempre punto d’intersezione tra forze diverse e variegate, espressioni di una “Italia vivente” nel suo dipanarsi storico ed istituzionale.
Ed è proprio in questo dinamismo che bisogna cogliere l’eredità storica e la lungimiranza profetica di un prete, che, al pari di altri suoi confratelli, sentiva la necessità di rispondere all’inadeguatezza di un modello parrocchiale che ormai non esisteva più e che faceva difficoltà a collocarsi nella dimensione del presente così come a rompere quella separazione con i “lontani”, restituendo ai laici le proprie responsabilità.
In merito all’eredità ricevuta, già don Primo Mazzolari con Il mio parroco (1932) e poi con Lettera sulla parrocchia (1937), ne aveva denunciato i limiti e le carenze invitando a «ritrovare il coraggio di porsi in concreto i veri problemi dell’apostolato parrocchiale» affinché non si cadesse nel grave pericolo di una clericalizzazione del laicato fortemente visibile nel connubio Chiesa/Fascismo tra silenzi, consensi e scambi di favori.
Ed è proprio in questo dinamismo che bisogna cogliere l’eredità storica e la lungimiranza profetica di un prete, che, al pari di altri suoi confratelli, sentiva la necessità di rispondere all’inadeguatezza di un modello parrocchiale che ormai non esisteva più e che faceva difficoltà a collocarsi nella dimensione del presente così come a rompere quella separazione con i “lontani”, restituendo ai laici le proprie responsabilità.
In merito all’eredità ricevuta, già don Primo Mazzolari con Il mio parroco (1932) e poi con Lettera sulla parrocchia (1937), ne aveva denunciato i limiti e le carenze invitando a «ritrovare il coraggio di porsi in concreto i veri problemi dell’apostolato parrocchiale» affinché non si cadesse nel grave pericolo di una clericalizzazione del laicato fortemente visibile nel connubio Chiesa/Fascismo tra silenzi, consensi e scambi di favori.
Sciopereranno i preti?
Nel 1940, don Pierino entrava in seminario e nove anni dopo Lorenzo Bedeschi in un piccolo libro intitolato Sciopereranno i preti? presentava la difficile condizione del parroco italiano sottolineandone lo stato di isolamento e di indigenza. Soprattutto al Sud, dove forte era l’emergenza economica di un sistema sociale fondato sull’ingiustizia contro cui furono presentate forti istanze con la Lettera collettiva dell’Episcopato Meridionale sui problemi del Mezzogiorno, datata 25 gennaio1948.
Un timbro pastorale che chiedeva una forte riforma del costume e della mentalità mentre veniva inaugurata una stagione di forte collateralismo elettorale in contrapposizione politica con le “Case del popolo”, alle quali la Chiesa rispondeva con una smodata corsa all’edilizia sacra e con un attivismo ricreativo davanti al quale, lo stesso Gramsci, avrebbe di sicuro ribadito fosse «espressione dell’opportunismo più piatto».
Nel 1950, don Pierino veniva ordinato sacerdote e chiamato a Nola come vicario cooperatore del parroco della Cattedrale e organista del Duomo. Esperienze Pastorali – quelle nolane – che lo videro impegnato a trovare nuovi linguaggi ecclesiali capaci di intercettare una generazione di “formidabili consumatori” a discapito di quei “Ragazzi di vita” ricchi solo di valori religiosi perché espressione di “una pietà verso i poveri e i diseredati”.
Un timbro pastorale che chiedeva una forte riforma del costume e della mentalità mentre veniva inaugurata una stagione di forte collateralismo elettorale in contrapposizione politica con le “Case del popolo”, alle quali la Chiesa rispondeva con una smodata corsa all’edilizia sacra e con un attivismo ricreativo davanti al quale, lo stesso Gramsci, avrebbe di sicuro ribadito fosse «espressione dell’opportunismo più piatto».
Nel 1950, don Pierino veniva ordinato sacerdote e chiamato a Nola come vicario cooperatore del parroco della Cattedrale e organista del Duomo. Esperienze Pastorali – quelle nolane – che lo videro impegnato a trovare nuovi linguaggi ecclesiali capaci di intercettare una generazione di “formidabili consumatori” a discapito di quei “Ragazzi di vita” ricchi solo di valori religiosi perché espressione di “una pietà verso i poveri e i diseredati”.
E a quei “giovani contestatori” «don Pierino – come afferma monsignor Beniamino Depalma – non esitò ad aprire le porte della chiesa così come non ebbe paura di affrontarli, preferendo il dialogo e il confronto, attuando una vera e propria pastorale giovanile nel cuore del territorio diocesano». D’altronde in quegli anni, fino al 1962, ci si preparava all’arrivo di un forte vento conciliare che avrebbe spalancato impetuoso le porte di una Chiesa opulenta e ieratica, scuotendo gli animi e le coscienze dell’intero popolo di Dio.
E anche quella volta don Pierino Manfredi non si fece trovare impreparato, perché «il Concilio Vaticano II – continua Depalma – lo aveva capito e compreso benissimo, così come il primato della Parola, la responsabilità del laicato e l’essenzialità dei sacramenti contro il caos del “consumismo pastorale”. Ma soprattutto: la povertà. Lui, prete poverissimo, che la viveva realmente e che mai mancava di concreta ospitalità». La stessa che era entrata nei dibattiti conciliari tramite alcuni padri riuniti nel Collegio Belga e poi tradotti dagli Appunti di Lercaro, vescovo di Bologna, indirizzati a Paolo VI, affinché il tema della povertà superasse le riflessioni spiritualizzanti e le banali edulcorazioni.
Un curato di campagna?
E dunque, chi vede ancora don Pierino Manfredi come il curato di campagna di Bernanos, si sbaglia. È piuttosto l’eco “solitaria” di una lunga tradizione profetica, trascritta così come fu pronunciata nelle tante omelie fatte “ai piccoli” della sua ultima comunità di Mater Dei, chiamata – oggi più che mai – a rendere giusta memoria della sua storia e dei suoi pastori.
Perché non sia una “parrocchia mancata”, un’isola perduta tra le tante isole, del nostro territorio, mai riconciliate, oppure – come direbbe don Pierino Manfredi – una gallina che mangia le sue uova. Sia, piuttosto, una Chiesa casa per tutti, in cui è la diversità a creare vita e dove all’uomo è data la responsabilità di un mondo nuovo. E se non si è disposti neanche a provarci, allora perché siete così paurosi?
Perché non sia una “parrocchia mancata”, un’isola perduta tra le tante isole, del nostro territorio, mai riconciliate, oppure – come direbbe don Pierino Manfredi – una gallina che mangia le sue uova. Sia, piuttosto, una Chiesa casa per tutti, in cui è la diversità a creare vita e dove all’uomo è data la responsabilità di un mondo nuovo. E se non si è disposti neanche a provarci, allora perché siete così paurosi?
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