I SENTIERI DELLA MEMORIA: Fermenti Rivoluzionari in "Racconti di Carta"
Luigi De Luca 17 Aprile 2022«Un viaggio nel proprio territorio come era cento, cinquecento o duemila anni fa, per andarsene in giro per strade, piazze, campi; incontrare, fare amicizia, lavorare, giocare con i coetanei di allora; assistere allo spaventoso spettacolo dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., partecipare ad un ballo nello splendido salone del cinquecentesco Palazzo aragonese o alla caccia del falcone nel bosco retrostante, far parte dell’esercito rivoluzionario sotto la guida di Morelli e Silvati nei moti napoletani del 1820-21; essere attori di un processo di crescita e formazione dall’infanzia all’adolescenza, all’età adulta». (p. g. s.)
“Fermenti Rivoluzionari” di Giacomo Battipaglia (da un’idea di Francesco Iervolino) è il terzo racconto della collana “Racconti di Carta” edito da Michelangelo 1915.
«Lungo una strada che loro stessi avevano definito rivoluzionaria» centoventisette militari e venti carbonari avanzano per congiungersi, nel luglio del 1820, con le truppe di Avellino. Un prete (don Luigi Minichini), un tenente (Morelli) e un sottotenente (Giuseppe Silvati) tra «gli uomini lì riuniti – dove emergono – le figure di alcuni giovani, desiderosi di affrontare quell’avventura che sapevano (e speravano) li avrebbe portati alla gloria nei confronti della posterità». Tra questi, due di loro che si alternano «in momenti di rilassamento e di celia con momenti di riflessione profonda», come il giovane Antonio, conterraneo di Vincenzo Russo, l’avvocato nativo di Palma che «aveva pagato con la vita il tentativo di costituire la cosiddetta Repubblica Partenopea giusto venti anni prima, in quel non tanto lontano 1799». Una sopravvissuta testimonianza che sembra ancora essere l’unica spinta che alimenta i giovani soldati troppo poco considerati da quella gente che «li aveva visti sfilare per i propri paesi li aveva dunque guardati con un misto di meraviglia e di sospetto, con sensazioni opposte di timore e di soddisfazione». Tra le parole di un giovane acculturato – il “taciturno Francesco” – si rivivono a confronto le storie di due generazioni lontane (per il tempo e non per gli ideali) che fanno da sfondo ad una svolta che da lì a poco si sarebbe concretamente realizzata: un “sogno” firmato e controfirmato dal Re e da suo figlio Francesco il 9 luglio 1820, a Napoli, con il giuramento solenne sulla Costituzione avvenuto quattro giorni dopo, il 13 luglio del 1820. Una storia “quasi riuscita” che aveva dell’incredibile pensando agli avvenimenti meno fortunati del 1799 ma che però non aveva ancora fatto i conti con i “corsi e i ricorsi storici” di Vicana memoria. Accade così che nel settembre del 1822, tra l’infausta partenza del Re, la disfatta del generale Pepe e la fuga dell’abate Minichini, tutto si sfalda e, come cent’anni prima, viene “di nuovo” allestito il patibolo a Piazza Mercato dove stavolta ci sarebbero finiti Morelli e Silvati. Allo stesso modo, nel settembre del ’43, viene incendiato dai nazisti l’antico palazzo di Villa Montesano a san Paolo Belsito come voler oscurare ancora la Storia spazzando via qualsiasi traccia rivoluzionaria o di violata esistenza. La storia cambia e gli uomini si ripetono, dove ancora oggi – a pensarci bene – non siamo poi così tanto cambiati! Alla fine, sempre più dolente, rimane quell’unica, ancora troppo spesso soffocata, come quella che nel ’99 urlava «contro i soprusi, contro la sopraffazione, contro il potere del Borbone!» e che oggi urla «Resistenza» contro il potere di un’ennesima Guerra!
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