I SENTIERI DELLA MEMORIA: Santa Maria De Arco tra passato e presente

Luigi De Luca 15 Maggio 2022
I SENTIERI DELLA MEMORIA:
Santa Maria De Arco tra passato e presente

Torna a risuonare, con voce esperta e appassionata, lo studio attento e impegnato della professoressa Maria Maddalena Nappi in uno dei suoi ultimi lavori, insieme ad Angela Sorrentino, pubblicato postumo dal Gruppo Archeologico “Terra di Palma”.

Il volume (edito Michelangelo 1915) ha lo scopo di riportare in auge la storia complessa della chiesa di Santa Maria all’arco, oggi situata al bivio tra via Vecchia Sarno e via Nuova Sarno. Il suo ultimo rifacimento risale al 1958 per commissione del reverendo Thomas Rainone di Newark (in New Jersey) in memoria dei suoi genitori.
 

All’interno, una serie di dipinti anch’essi recuperati “in modo fortuito” da don Umberto De Sarno e dal dottor Gaetano Lauri durante una ricognizione post-terremoto nella zona sotterranea della chiesa. E da quei quadri si risale all’antica cappella affrescata da simbologie evangeliche e dentro la quale gli abitanti di Palma solevano raccogliersi in preghiera ispirati dal clima e dall’ambiente circostante (allora prettamente naturale).

Due volte minacciata dalle alluvioni, la prima alla fine del seicento e la seconda – si suppone – a metà del settecento (questa volta ricostruita a spese dell’amministrazione comunale), la cappella vanta della cura eremitica secondo quanto riportato nell’Archivio Vescovile di Nola.

Una presenza a dir poco “singolare” così come l’antica etimologia intende il termine monachòs di uomo “unico”, “atleta di Dio”, che va nel deserto per combattere contro il demonio, “integrato”, “unigenito nell’amore” (dal siriaco Ichidaia), “che piange” (dal siriaco Abica) e infine “straniero e pellegrino” (xenitèia) avendo la patria da un’altra parte. Insomma, c’è da farsi “novizi” nella lettura di queste pagine, come coloro che “scendono in profondità” e riscoprono il gusto di uno studio singolare solo dopo aver fatto esperienza di comunità, la stessa, che le autrici interpellano perché «si risvegli l’interesse della collettività e si porti alla fruizione pubblica un patrimonio artistico e religioso per troppo tempo trascurato».
 
 
Oggi – continuano le autrici – «i tempi sono maturi per un progetto di recupero e valorizzazione del bene, tale da dare impulso a uno sviluppo culturale ed economico del territorio». Certo, maturo doveva e dovrebbe essere anche un certo discernimento degli spiriti come di quei monaci “vigilanti”.

In termini prettamente laici, potremmo intenderla come la capacità che ognuno dovrebbe avere nell’assumersi responsabilmente lo sviluppo concreto di una coscienza storica e locale, il cui rapporto sembra sempre più discontinuo causa la carenza di fonti documentaristiche e lo scarso interesse nei confronti di «un’autonoma formazione attraverso i diversi momenti dell’insegnamento» (S. Guarracino).

 
Segue – nelle pagine del volume – l’analisi iconografica e agiografica dei dipinti restaurati, con annessa scheda tecnica dei restauri e di un’appendice, le cui “vite pastorali” «contribuiscono al processo di costruzione dell’identità personale che si dà sempre nell’unificazione di passato e futuro con il presente» (S. Guarracino).

 
 
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