INGLESISMI: SI, NO, DIPENDE (prima parte)
P. Gerardo Santella 10 Maggio 2023Ogni lingua, e quindi anche la nostra lingua, cioè legata in parte a etnie e tradizioni diverse, con cui per varie ragioni c’è uno scambio “culturale”, fatto anzitutto di parole che si trasferiscono dall’una all’altra. Non c’è da meravigliarsi dunque se nel vocabolario della nostra lingua ritroviamo oltre 4.000 anglismi, che usiamo nelle nostre relazioni quotidiane come strumento di comunicazione senza neanche considerare se si possano sostituire con una parola italiana dello stesso significato. Talora sui media e anche sui social si pone la questione dell’abuso dell’inglese e compaiono lunghe liste di parole inglesi con accanto le equivalenti parole italiane che potrebbero sostituirle nel parlato e nello scritto.
Non facciamo un ulteriore elenco di parole. Ci limitiamo a scriverne alcune che si usano frequentemente, una per ogni lettera dell’alfabeto: audience, break, chek-up, display, email, fake, gossip, hotel, leader, meeting, news, online, part-time, relax, selfie, ticket, upload, web.
Al posto di ognuna di queste, potremmo usare una parola italiana. Ma non lo facciamo. Ogni tanto salta su uno e propone che le parole italiane si impongano per legge e che si espellano quelle inglesi.
E’ quello che si tentò di fare durante il ventennio fascista con conseguenze comiche: potevano andare anche bene sala da ballo per dancing, primato per record, maglione per pullover, autocorriera per pullman, tramezzino per sandwich, alt per stop, vitaiolo per playboy; ma lasciano perplessi giacchetta nera per smoking, scavalco per dribbling, giovane esploratore per boy scout, malfattore per gangster, scialle da viaggio per plaid, pellicola per film; sono francamente ridicoli quisibeve per bar, acquavite per whisky, disco su ghiaccio per hockey, guidoslitta per bob o finanche la traduzione dei nomi propri: Buonaria per Buenos Aires, Luigi Braccioforte per Louis Armstrong (il famoso trombettista americano), teppista (?!) per Apache (appartenente all’omonimo popolo indiano).
E c’è altro. Capita anche che il ricorso indiscriminato all’inglese porti ad usare le sue parole dando loro un significato diverso dall’originale.
Ad esempio: box = in italiano indica un garage per auto, mentre in inglese indica solo una scatola; beauty = in italiano indica una borsa da viaggio, che in inglese si chiama washbag; feeling = in italiano indica un buon rapporto (chemistry), mentre in inglese significa sentimento o sensazione; fiction = in italiano indica una serie TV, mentre in inglese significa finzione o, al massimo, romanzo.
Che dire? Una semplice verità: la lingua è per sua natura mobile, si trasforma continuamente, è come un albero che nel tempo perde le foglie appassite (arcaismi) e ne acquista nuove (neologismi), riceve linfa viva non dalle regole delle istituzioni e non, se non raramente, dalle proposte dei linguisti, ma dall’uso dei parlanti, che possono decretare la morte o la vita di una parola a seconda che la utilizzino o meno.
E dunque come comportarsi con le parole inglesi?
(Continua nel prossimo articolo)