Jorit Agoch: a Taranto il volto di Giorgio che "ha combattuto una guerra che non era sua"
Olga Vicinanza 8 Ottobre 2021Jorit Agoch, di origini napoletane, ormai figlio del mondo, artista tra i più amati e apprezzati a livello internazionale nella street art, nell'aprile 2019 approdava a Palma Campania per lasciare la sua impronta. Sulla parete di una palazzina di periferia, in quell'occasione ha dato un nome e un volto al ragazzino annegato nel Mediterraneo con la pagella cucita in tasca. Aveva 14 anni ed era partito dal Mali nella speranza di trovare una vita migliore una volta sbarcato. Ha chiamato il bambino Kukaa, un nome che significa «restare» , restare come quel diritto a vivere nella propria terra, con i propri affetti.
Kukaa non ha mai raggiunto la meta, annegando prima di toccare la terra che avrebbe dovuto imparare a conoscere, in cui sarebbe dovuto crescere, in cui si sarebbe dovuto integrare e con lui i suoi sogni, i suoi studi: Kukaa è la triste icona di un concetto, un'idea, un'immagine di un pensiero che... che a Taranto ora ha trovato un amico.
Un altro disegno con un volto di un 15enne che, come lui, aveva diritto di restare, restare in vita, avere un'adolescenza normale, essere circondato dalla spensieratezza e dall'amore dei suoi cari: Giorgio Di Ponzio, vittima del sarcoma ai tessuti molli, simbolo di quel riscatto che spetta a quella cittadina martoriata dalle polveri sottili dell'ex acciaiaeria tra le più grandi d'Europa. Giorgio guarda sulla sua città, guarda su Taranto e sull'ex Ilva, guarda a chi, come ha fatto lui, combatte una guerra la cui unica vittoria è continuare a vivere. Nei suoi occhi, Mamma Carla e Papà Antonio, che lo hanno tenuto per mano fino alla fine e che oggi passando vicino a quel palazzone di 10 piani ritrovano il suo sorriso.
E sono proprio le parole di Papà Antonio, rilasciate in un'intervista per la Stampa, a racchiudere in se quella forza di continuare, di battersi affinché altri genitori e ragazzi non debbano soffrire di tali perdite: «Finché avrò vita, cercherò di far sapere a tutti chi era mio figlio. Quest'immagine è un simbolo di lotta e speranza. E di tutti i bambini vittime dell'inquinamento di quella fabbrica maledetta».
Dalle pagine social a tuonare sono anche le parole del giovane artista partenopeo, che nelle sue opere oltre alla grande bravura tecnica si lascia guidare dalla profondità delle emozioni che ogni volto, ogni storia di quei volti, racchiude in sé: «Quest'opera è dedicata a Giorgio – dice l'artista – che ha combattuto una guerra che non doveva essere sua, ai suoi genitori che con incredibile forza continuano a lottare per il diritto alla salute di chi resta. A chiunque si senta solo in questa battaglia, a chi l'ha vinta, a chi l'ha persa».
Kukaa non ha mai raggiunto la meta, annegando prima di toccare la terra che avrebbe dovuto imparare a conoscere, in cui sarebbe dovuto crescere, in cui si sarebbe dovuto integrare e con lui i suoi sogni, i suoi studi: Kukaa è la triste icona di un concetto, un'idea, un'immagine di un pensiero che... che a Taranto ora ha trovato un amico.
Un altro disegno con un volto di un 15enne che, come lui, aveva diritto di restare, restare in vita, avere un'adolescenza normale, essere circondato dalla spensieratezza e dall'amore dei suoi cari: Giorgio Di Ponzio, vittima del sarcoma ai tessuti molli, simbolo di quel riscatto che spetta a quella cittadina martoriata dalle polveri sottili dell'ex acciaiaeria tra le più grandi d'Europa. Giorgio guarda sulla sua città, guarda su Taranto e sull'ex Ilva, guarda a chi, come ha fatto lui, combatte una guerra la cui unica vittoria è continuare a vivere. Nei suoi occhi, Mamma Carla e Papà Antonio, che lo hanno tenuto per mano fino alla fine e che oggi passando vicino a quel palazzone di 10 piani ritrovano il suo sorriso.
E sono proprio le parole di Papà Antonio, rilasciate in un'intervista per la Stampa, a racchiudere in se quella forza di continuare, di battersi affinché altri genitori e ragazzi non debbano soffrire di tali perdite: «Finché avrò vita, cercherò di far sapere a tutti chi era mio figlio. Quest'immagine è un simbolo di lotta e speranza. E di tutti i bambini vittime dell'inquinamento di quella fabbrica maledetta».
Dalle pagine social a tuonare sono anche le parole del giovane artista partenopeo, che nelle sue opere oltre alla grande bravura tecnica si lascia guidare dalla profondità delle emozioni che ogni volto, ogni storia di quei volti, racchiude in sé: «Quest'opera è dedicata a Giorgio – dice l'artista – che ha combattuto una guerra che non doveva essere sua, ai suoi genitori che con incredibile forza continuano a lottare per il diritto alla salute di chi resta. A chiunque si senta solo in questa battaglia, a chi l'ha vinta, a chi l'ha persa».
Kukaa, Giorgio, i tanti ragazzi che affrontano i "viaggi della speranza", i piccoli di Kabul, i bambini e adolescenti delle Terre dei fuochi, tutti accumunati da un unico diritto, quello di "restare" ... restare in vita, restare mano nella mano con i propri affetti, non essere strappati alla vita da quelle guerre che non sono loro, che neanche hanno chiesto di combattere. Che sia l'arte in ogni sua forma, che sia la street art, che sia uno scritto, non importa: ciò che vale è non dimenticare, far rivivere nei pensieri quelle che sono le battaglie per la vita e trovare il coraggio, la forza di portarle avanti ... quello che Jorit ha definito "un invito a non arrendersi" attraverso il suo murale.
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