LA PUNTEGGIATURA DI PASCOLI… E DI UNGARETTI
P. Gerardo Santella 7 Dicembre 2022Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò nei suoi occhi un grido:
portava due bambole in dono…
è una strofa della poesia X Agosto, in cui il poeta racconta l’assassinio del padre, ucciso mentre tornava a casa con un calesse, e lo paragona alla morte di una rondine colpita mentre ritornava al nido.
Osservate la fitta punteggiatura, in particolare nel secondo verso, formato da tre parole, ognuna delle quali è interrotta da un segno : : ; Ebbene, considerando che la fine del verso generalmente marca già una pausa nel discorso poetico, nella strofa non ci avrebbe certo meravigliato neanche l’assenza totale dei segni intermedi.
E allora, perché quest’ uso frequente della punteggiatura anche laddove se ne sarebbe potuto fare a meno? Perché il poeta tende a frantumare la metrica tradizionale? Perché spezza i versi?
La risposta va ricercata nella specificità del linguaggio poetico e in particolare nella relazione-corrispondenza tra significante e significato, in questo caso tra punteggiatura e semantica. Come si può, a livello formale, materializzare sulla pagina la sequenza di una vita di un uomo stroncata violentemente se non con segni di punteggiatura che interrompono violentemente, spezzandola, la linearità del discorso poetico? Quasi come se fossero improvvisi colpi di sparo, che generano una musica franta e dolorosa, un grido di terrore che, non potendo essere espresso con la voce, rimane negli occhi sbarrati e attoniti, un sentimento di inquietudine, sorpresa, angoscia tutto interiore. Come se fossimo presenti alla scena, il nostro cuore sobbalzasse, rimanessimo in una condizione di smarrimento e sospensione, toccati da una manifestazione improvvisa e imprevedibile del male che smorza ogni nostra reazione.
Si notino anche i tre puntini sospensivi finali, una sorta di quella che nel linguaggio cinematografico si definisce “dissolvenza”, cioè una immagine che scompare gradualmente, ad indicare l’atto del tacere, l’interruzione del discorso, un suo prolungamento all’allusione nella sfera del non-detto: che è anche un invito al lettore a riempire con la sua immaginazione il vuoto temporale e la reticenza.
L’abbondanza di segni di interpunzione ha, dunque, lo scopo di creare frasi spezzate, ognuna delle quali sospende il discorso e rimanda la spiegazione, in un continuo rincalzo e rinvio alla parola successiva; inoltre di creare un ritmo franto e singhiozzante.
Leggiamo questi versi da Veglia, della raccolta Allegria di naufragi, di Giuseppe Ungaretti
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
(…)
Ungaretti, al contrario di Pascoli, utilizza raramente o per niente la punteggiatura, come in questo caso, dove ci aspetteremmo secondo la norma una virgola alla fine dei versi 4, 6 e 8. Il poeta, però, rende lo stesso effetto di pausa con altri mezzi, quali gli spazi bianchi, i versi brevissimi (anche di una sola parola, che risalta ampiamente non solo a livello semantico ma anche fonico) e gli a capo frequenti che fungono da sospensione e silenzio. Come se il discorso poetico, elaborato prima all’interno della propria psiche, fluisca poi nel silenzio della pagina bianca senza interruzioni.
Come vedete, nella scrittura letteraria la punteggiatura non ha solo funzione demarcativa, ma anche ritmica e semantica e richiede un contributo attivo da parte del lettore per essere compresa nel polimorfismo delle sue caratteristiche.