OPPENHEIMER: IL RACCONTO DEL PADRE DELLA BOMBA ATOMICA PORTATO SUL GRANDE SCHERMO DA CHRISTOPHER NOLAN

Valentina Soviero 29 Agosto 2023
OPPENHEIMER: IL RACCONTO DEL PADRE DELLA BOMBA ATOMICA PORTATO SUL GRANDE SCHERMO DA CHRISTOPHER NOLAN

Oppenheimer è ciò di cui il Cinema ha bisogno. Non solo il Cinema, ma proprio la sala, il grande schermo. Non è un biopic, né un blockbuster d’autore, è un’esperienza nolanianissima, perché il regista non si limita a raccontare il personaggio: ci fa entrare nella testa del genio che voleva cambiare il mondo e ha finito in qualche modo per distruggerlo, dove vediamo particelle che si muovono alla velocità della luce, molecole che ruotano, atomi che si dividono. Esplosioni di immagini astratte. Fenomeni incandescenti e figure dal grande potere evocativo (come quelle legate alla metafora delle lenzuola).



Ma è attraverso l’uso del suono e della visione che siamo costantemente dentro alla storia, alla testa di Oppie, a Los Alamos, al progetto Manhattan, persino dentro a una testata nucleare. Basti una scena per tutte: il Trinity, si chiama così il test di detonazione condotto nel deserto del New Mexico prima di affidare l’arma all’esercito. 10 minuti concitatissimi, che viviamo da diverse postazioni, fino al big bang che, intelligentemente, è tutta luce e nemmeno un accenno di audio. Ché Nolan riesce a dare un senso pure a quell’ossimoro abusassimo: silenzio assordante.



È il racconto del personaggio storico che dà il titolo al film, quel Julius Robert Oppenheimer che ha condotto il Progetto Manhattan e viene considerato il Padre della bomba atomica e il Prometeo moderno che rubò il fuoco per dare agli uomini l’autodistruzione. Ma è bene specificarlo da subito, anche se gli appassionati ed estimatori di Nolan dovrebbero saperlo: il film non ha la forma o i limiti del biopic classico, ma una costruzione narrativa che rifugge la linearità e il racconto pedissequo di eventi reali. E ovviamente per una figura complessa come quella di Oppenheimer bisognava andare oltre al concetto storico.



Ed è qui che (ancora una volta) Nolan manipola il tempo e trasforma il biopic in un thriller politico, confermando quanto sia anche un ottimo regista di attori. Ed è tutto un flashback della carriera di Oppie, della sua permanenza alla UC Berkeley, del suo matrimonio con Kitty (Emily Blunt), della sua relazione con la psichiatra comunista Jean Tatlock (una Florence Pugh che ruba la scena). Robert Downey Jr. piazza uno dei migliori lavori della sua carriera con il personaggio Lewis Strauss. E ancora Benny Safdie, Rami Malek, Casey Affleck, Jason Clarke, Matthew Modine, Alden Ehrenreich e un gigantesco Gary Oldman nei panni di Harry Truman, che in un solo momento ci restituisce il ritratto di uno presidente stronzo come non mai. E poi, vabbè, un Matt Damon tutto baffoni e distintivo, alias il generale Leslie Groves, referente militare del progetto Manhattan. I suoi duetti con l’Oppie di Murphy sono magnifici.



E infine una sceneggiatura che affida alle parole il potere massimo (una delle poche opere in cui Nolan diventa un raffinato scrittore) e attraverso di esse ci rivela il cuore pulsante che batte nello straordinario scritto di Kai Bird e Martin J. Sherwin che vinse il Pulitzer nel 2005: “Oppenheimer. Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica”.



Quando un nucleo atomico pesante decade emette una quantità impressionante d'energia. È quello che in poesia si dice dei giganti: che quando rovinano al suolo, il colpo si avverte ovunque. Quando una goccia cade in uno stagno, le onde si propagano in modo piuttosto evidente. È quello che fa Christopher Nolan con questa sua ultima opera. Prende un nucleo caratteriale con una densità socio-politica elevata e lo bombarda di quesiti e accuse, scindendolo in nuclei narrativi di massa inferiore, ognuno di essi correlato all'altro. Ma un nucleo pesante più lo colpisci e più genera potenza, una forza di tipo etico e morale pronta a implodere ed esplodere insieme. La verità.



Questa, di fatto, è l'energia radioattiva che Nolan tenta di liberare; tanto su chi fosse concretamente il fisico "che portò la meccanica quantistica in America", quanto sulle paure, le ipocrisie e le contraddizioni di un paese che mentre lottava contro i nazisti già si preoccupava dei comunisti, tentando di aumentare il proprio arsenale senza timore "di usare qualsiasi arma in loro possesso, anche la peggiore". Lo fa mediante un processo cinematografico votato alla causa, introducendo il contraltare della fusione alla fissione, lasciando scontrare il nucleo Strauss contro quello di Oppie per arrivare a quella nuova verità alla base di tutto, persino del mondo per come oggi lo conosciamo, cambiato nel profondo dal Progetto Manhattan, prima reazione a catena di una propagazione di massa delle armi atomiche.

Un incubo che noi - soprattutto oggi - viviamo giorno dopo giorno ad occhi aperti, mentre Nolan al suo Oppie consapevole e inorridito decide di farglieli chiudere, testimoniando concretamente le sue profetiche parole: che un futuro di questo tipo è semplicemente inimmaginabile. Eppure noi ci viviamo dentro.

Non è un film perfetto Oppenheimer, ma è un grande film, è un’opera alta, che non teme mai di entrare nelle pieghe, nelle sfumature ed è la dimostrazione che portare sullo schermo la storia recente è davvero un’impresa titanica, per la quale tre ore – sì, TRE ORE – sono troppe ma anche troppo poche. È un film totale, Oppenheimer, che racchiude il senso del cinema di un autore totale, Christopher Nolan, starring un attore totale, Cillian Murphy che, dopo Peaky Blinders e per la prima volta sul grande schermo, trova un ruolo totale. Se questo non è Cinema, spiegatemi cos’è!

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