Palma Campania, l'associazione Arci alimenta il dibattito su lavoro, welfare e parità di genere
Diletta Iervolino 23 Marzo 2021A distanza di alcuni giorni dal simbolico 8 marzo, l’Associazione Arci di Palma Campania ha organizzato un convegno virtuale sulla tematica di genere, in particolare focalizzandosi su lavoro welfare e parità. Cominciamo con l’analizzarne il titolo: Non si vive di mimose.
«La scelta – come specifica il moderatore dell’incontro, Gianluca Montanino – è stata dettata dalla volontà di non cadere in stereotipi, tabù o strumentalizzazioni, bensì di trattare la tematica di genere nel modo più concreto possibile, anche quando si ha a che fare con argomenti spinosi. Per questa occasione l’Associazione ha scelto di ospitare due esperte diverse, per competenze e applicazione delle proprie conoscenze, così da contribuire a un’analisi della questione a 360 gradi».
Gli interventi della Professoressa Giovanna Campani e dell’avvocata Andreina Baruffini Gardini – uno di natura antropologica, l’altro di approccio giuridico – hanno infatti caratterizzato l’incontro, mescolandosi anche a riflessioni di tipo storico e linguistico.
L’attenzione della Professoressa di Antropologia di Genere dell’Università di Firenze si è focalizzata sul tema dell’aborto, pure in vista dei recenti sviluppi della legislazione polacca che ha dichiarato illegale tale pratica.
Essenzialmente, Campani ha tratteggiato un’analisi storica a ritroso: partendo dalla attuale considerazione comunitaria che abbiamo dell’aborto come problema sociale anziché come una libera scelta a discrezione della donna; passando ai primi anni 2000, quando in Italia il giornalista Giuliano Ferrara si fece promotore dello pseudo-partito “Aborto? No grazie” rendendo la questione dell’aborto un affare politico; giungendo agli anni ’80 quando negli USA fu l'allora presidente Ronald Reagan con i Repubblicani a renderla una questione ideologica, un vero e proprio elemento di carattere identitario; arrivando ai famosi anni ’70 in cui la legalizzazione dell’aborto vide la luce in tutto il mondo occidentale, con l’affermarsi del femminismo e della soggettività femminile ma al tempo stesso di un competitivo sistema neoliberale, in cui la libertà individuale e le politiche sulla famiglia si sono fondate, secondo Campani, su discorsi meramente ideologici, attraverso modalità (tuttora) inadeguate.
Interessanti appaiono le dinamiche storiche precedenti, delineate dalla Professoressa: prima di allora, la criminalizzazione dell’aborto (all’interno della più ampia questione riproduttiva) si è affermata come un risultato della creazione dello Stato-nazione, un prodotto ottocentesco legato alla strutturazione della società sulla famiglia. Oltre che come un problema etico.
In effetti, in termini etici forte è stata (e continua a essere) l’influenza religiosa del Cristianesimo Cattolico, di base assolutamente sessuofobo secondo Campani, soprattutto in seguito all’imposizione del culto Mariano nel Medioevo: la Professoressa ha infatti sottolineato quanto sia stata decisamente pesante la simbologia di una madre vergine che partorisce un figlio, e quanto il simbolo si sia poi trasformato in un elemento fortemente identitario per gli Stati occidentali cattolici, fondati sul patriarcato e quindi sulla predominanza maschile nella famiglia e nella società.
È in tale contesto che, sottolinea Campani, prende vita il nuovo welfare: un sistema fondato sul fatto che l’uomo fosse il principale portatore di lavoro nella società e che progressivamente il potere medico (e dello Stato) potesse intromettersi in e appropriarsi di questioni relative al corpo delle donne attraverso pratiche di controllo. Insomma, quello che Michel Foucault definì col termine biopolitica.
Ed è dunque a causa delle svariate componenti consolidatesi nel corso della storia (religiosa, statale, patriarcale, neoliberale), ha concluso la Professoressa Campani, che l’aborto viene ancora percepito come una concessione e non come un diritto individuale. Della donna.
L’Avvocata Baruffini Gardini, specializzata in diritto di famiglia e violenza sulle donne, ha centrato il suo intervento sulla mancanza, in Italia, di adeguati strumenti di contrasto alla discriminazione e alla violenza femminile, evidenziando come quest’ultima, seppure durante il lockdown siano emerse situazioni domestiche allarmanti, rappresenti in realtà solo la punta dell’iceberg riguardante le problematiche di genere.
Secondo l’Avvocata, si tende a trattare la violenza come un fenomeno a sé stante anziché come un problema strutturale con delle radici culturali e sociali. Proprio a proposito della violenza, Baruffini Gardini ha menzionato la Convenzione di Istanbul (se n’è parlato tanto in questi giorni a causa della decisione della Turchia di uscire dalla Convenzione, così come riportato dal quotidiano La Repubblica) ratificata dal Consiglio d’Europa nel 2011 sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. È strutturata sulle cosiddette quattro P: prevenzione della violenza, protezione e supporto delle vittime, punizione dei colpevoli e politiche integrate.
Al fine di monitorare l’effettiva applicazione della Convenzione da parte di tutti gli Stati che l’hanno ratificata, ha spiegato Baruffini Gardini, è stato creato il GREVIO (Gruppo di Esperte sulla Violenza Contro le Donne), organismo indipendente del Consiglio d’Europa. Come evidenziato dall’Avvocata, il primo Rapporto GREVIO 2020, in relazione al monitoraggio effettuato in Italia, ha confermato il permanere di un problema culturale, del divario tra una teoria legislativa e una effettiva pratica di un piano antiviolenza, della mancanza di finanziamenti destinati a una efficiente strategia nazionale di contrasto, del carente funzionamento di giustizia e servizi.
Per quanto siano state inasprite le pene, l’ultimo Rapporto Eures ha segnalato che, a fronte del crollo di omicidi in generale negli ultimi anni, il numero di femminicidi in Italia è aumentato. Una donna ogni tre giorni.
E la Pandemia sembra aver ulteriormente amplificato il divario di genere in termini lavorativi, con una conseguente perdita di indipendenza economica da parte delle donne. Una problematica che, secondo l’Avvocata, finirà per avere delle conseguenze sull’intera società.
Il dibattito si è concluso con un accenno all’uso sessista della lingua italiana, menzionando l’avanguardistico opuscolo scritto a riguardo da Alma Sabatini per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra Uomo e Donna nel 1987, e il toccante monologo di Paola Cortellesi alla Cerimonia per il David di Donatello nel 2018.