ROSASPINA RACCONTA NELLA CANZONE “JULIE COOPER” DI VIOLENZE SESSUALI E MOBBING
Redazione 24 Settembre 2021ROSASPINA, per la prima volta, racconta nel suo brano “JULIE COOPER” di quanto è avvenuto per un certo periodo di tempo sul posto di lavoro. Una canzone in cui viene denunciato il fascino pericoloso di una piacente donna matura, capo di una filiale di una grande società di credito.
La JULIE COOPER di ROSASPINA, similmente a quella dell’omonima serie televisiva The O.C., era un’affascinante e potente donna in carriera, moglie e madre vogliosa delle attenzioni di ragazzi molto più giovani di lei. È così che, messi gli occhi addosso all’attraente venditore di punta, sfruttando la propria posizione, inizia presto ad esigere da ROSASPINA che diventi il suo toy boy fino a spingersi sempre oltre con le sue richieste di sfrenato, insaziabile, soddisfacimento sessuale.
Ciao Rosaspina… Oggi hai deciso di raccontare le violenze da te subite alcuni anni fa sul posto di lavoro, cosa ti ha mosso a farlo?
“La raggiunta consapevolezza che i traumi del passato non dovrebbero mai essere tenuti nascosti, anche se è sempre doloroso ricordare la violenza e gli abusi subiti. Se non si dà loro fiato e non si butta fuori il veleno, però, si incorre in disturbi post-traumatici paralizzanti e deformanti che non permettono di elaborare l’accaduto e così si finisce soffocati, impantanati nella rabbia ed infine ad annegare nel patito …ma chi vive di musica come me ha dalla propria parte una grandissima fortuna: il potere terapeutico dell’arte, una medicina che va condivisa con più persone possibili. Ciò che ha guarito il sottoscritto potrebbe sicuramente guarire tanti altri”.
Come ti senti, dunque, adesso?
“Sollevato. Come disse la mitica Lady Gaga, ho passato cose orribili delle quali oggi posso sor-ridere. Scrivere è stata la mia salvezza, andare alla fonte e liberarmi dallo sporco mi ha permesso di fare del dolore microfono per dar voce ad un me più forte”.
Ti è mai capitato di sentirti in colpa per quanto ti è successo?
“In me non c’è mai stata l’intenzionalità né la volontà, e tanto meno alcuna compiacenza, nell’essere trattato da giocattolo per il sesso. Certo la mia ex datrice di lavoro era una donna estremamente seducente, felina, una vera femme fatale e le sue attenzioni all’inizio avrebbero fatto piacere a chiunque… tuttavia c’è una profonda differenza tra la vanità fine a se stessa e dunque come frivolo compiacimento di sé e delle proprie qualità, vere o presunte, e lo sfruttamento della vanità come leva cosciente per indurre e sforzare qualcun altro rispetto all’io ad assumere comportamenti che implicano conseguenze dannose e lesive della persona. Se ho qualche colpa è solo nei confronti di me stesso. Tacendo per un po’, ho peccato e mancato di troppo (tanto o poco che fosse) amor proprio... l’ho come anestetizzato col conseguente pericolo di non sentire più alcunché, eppure ciò che segna insegna ed ora che ho raccontato la verità comprendo di essere diventato un giovane uomo maggiormente consapevole”.
Alle persone che non riescono ancora ad affrontare quello che tu hai già attraversato, cosa vorresti dire?
“Di non continuare a cedere per alcun motivo a colleghi o superiori alimentando in tale maniera un circolo vizioso di sopraffazione ed emarginazione. Persino i piccoli atti, quotidiani, che si giustificano come cose di poco conto sono invece campanelli d’allarme. La violenza psicologica, il sabotaggio professionale e non soltanto quello, non devono mai essere giustificati a prescindere dal fatto che sfocino o no fino alla più evidente aggressione fisica”.