Un artista, un'opera: ALAA AHMAD EDDIN

P. Gerardo Santella 8 Febbraio 2024
Un artista, un'opera: ALAA AHMAD EDDIN

ALAA AHMAD EDDIN

Alaa Ahmad Eddin è nato in Siria, Ha compiuto i suoi studi artistici a Damasco, specializzandosi anche in Arte della Calligrafia Araba. Ha esposto in Siria, Libano, Giordania, Grecia, Francia, Germania ed Egitto, nonché in Italia, dove vive e lavora a San Gennaro Vesuviano. Ha realizzato manifesti d’arte e numerose copertine di libri e riviste. Ha collaborato con diverse istituzioni scolastiche, in qualità di esperto esterno, nella realizzazione di progetti artistici.

Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, nel 2008 una sua tela è entrata nella collezione Sarkozy-Bruni. Ha ottenuto numerose recensioni da giornalisti e critici d’arte su molti giornali, riviste e cataloghi d’arte.

Nei suoi dipinti, che possiamo definire astratti, si notano forme stilizzate, lettere alfabetiche arabe, numeri, elementi zoomorfi e fitiformi, figure geometriche, soprattutto triangoli e quadrati, quasi finestre che inducono l’occhio a guardare dentro e scoprire l’oltre. 

C’è una contaminazione nello spazio rappresentato di Occidente e Oriente, un dialogo tra culture e razze diverse, reso possibile dagli attraversamenti e sconfinamenti dell’autore nei suoi percorsi di vita e di arte.

Dice il pittore della sua opera: “La mia terra d’origine ha influito, senza ombra di dubbio, sul mio percorso artistico: l’interesse, l’amore e il caldo dei colori, la forma elegante e musicale delle lettere della scrittura araba e i ricordi della mia infanzia. (…) Penso che uno dei grandi pregi dell’arte sia sollecitare l’osservatore a giungere a una propria conclusione, a provare un’emozione a seconda del suo stato d’animo, ad avere un ruolo attivo nella fruizione”.

Dell’artista siriano presentiamo due opere commissionate per il Carnevale palmese: una installazione e un dipinto. 

Carnevale 2006, installazione

È un trittico in legno. Una sagoma ritagliata dalla materia in cui si apre un vuoto, ricoperta di segni e percorsa in tutto il corpo dalla scritta NOI, che talora si trasforma in NO. Accanto un altro manichino senza testa. L’ artista sembra voler dire che quella del Carnevale non è più una condizione eccezionale, ma normale. Come se della maschera non avessimo più bisogno, perché non abbiamo più un volto da coprire.

NOI NO: il carnevale come metafora della perdita di identità, della mutazione antropologica dell’uomo da “res cogitans” a “res extensa”, da essere pensante ad automa che si muove meccanicamente, mosso da un congegno caricato a corda o manovrato con un filo dall’alto. E appare l’altro volto della festa: quel retrogusto amaro e quel sentimento di malinconia che rimangono quando si spengono i colori, i suoni, il movimento, l’effervescenza emotiva… e la trasgressione rientra nella monotona normalità.

Carnevale 2009, litografia

Una maschera, sospesa ai bordi della tavola con due fili, emette dalla bocca una cascata di lettere alfabetiche multicolori che si dispongono su una scacchiera (le cui caselle sono variamente colorate piuttosto che essere formate dall’alternanza tra bianco e nero) a comporre in una sequenza disarticolata il nome Carnevale palmese. Lo spazio dà l’impressione di un palcoscenico teatrale con le tendine del sipario semiaperte su uno sfondo nero. L’alternanza e interferenza di colori vivaci (giallo, arancione, rosso) e cupi (blu. nero, scuro) richiamano i due poli contrari tra i quali oscilla il sentimento della festa. Il coinvolgimento estetico è immediato; l’osservatore è attratto e sollecitato nei sentimenti e nell’orientamento del gusto.

Ma, passando dal livello del “vedere” a quello del “conoscere”, ci chiediamo: l’iconografia illustra l’essenza del “contenuto” dell’opera, che è il carnevale?

E rispondiamo: SÌ.

Il fruitore “consapevole” può cogliere l’eclettismo caratterizzante la nostra festa: la maschera nel vuoto è il segno della sospensione dell’esercizio della propria parte e dell’assunzione di parte altrui, dell’irresponsabilità delle proprie azioni che possono essere devianti dalla quotidianità; la scacchiera multicolore, invece che basata sulla canonica alternanza del bianco e del nero, indica la vivacità e l’allegria della festa; il fatto che essa si protende dal palco verso il pubblico è il segno della commistione di spettacolo e spontaneità; le lettere che fuoriescono dalla bocca in modo disordinato, quasi vomitate, rappresentano la “trasgressione” popolare, tra le quali anche l’eccesso del cibo.

Ma l’arte è, per specificità propria, ambigua. E quindi potete divertirvi voi a trovare i “segni” del Carnevale. Del resto anche Ahmed la pensa così.

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