Un artista, un'opera: ANTONELLA IOVINO

P. Gerardo Santella 28 Febbraio 2024
Un artista, un'opera: ANTONELLA IOVINO

ANTONELLA IOVINO

Laureata e specializzata in Storia dell’arte, consegue l’abilitazione per l’insegnamento in Storia dell’arte e sul sostegno con una tesi sull’accessibilità dei luoghi d’arte. Si forma come pittrice per poi dedicarsi alla fotografia. Tra le maggiori esposizioni ricordiamo: Artista internazionale ha esposto le sue opere fotografiche presso prestigiose sedi europee.

Ricordiamo le mostre presso: la Camera di commercio di Napoli., la Galleria Baccina 66 di Roma, il Museo Nazionale degli Champs Elysees di Parigi (2012), il Museo C. Barbella di Chieti, la X edizione della Biennale di Roma, vincitrice con l’opera Can you read my mind (2014), la Galleria Mona Lisa a Parigi (2016), la Galleria Pinna di Berlino e la Galleria di Rue de la Regence au Sablon di Bruxelles (2017). l’Harmattan Art et Culture di Parigi (2019), La Méditerranè ecologique di Parigi (2020).

 

L’OPERA: AUTORITRATTO. VENT’ANNI

Lasciamo la presentazione la presentazione dell’opera alla stessa artista.

“Questa fotografia, come quasi tutta la mia produzione fotografica concettuale si basa sul principio del one-shot. Un unico scatto, decisivo che viene preceduto da un lungo lavoro di selezione, preparazione e posizionamento degli oggetti. Un solo scatto perché ciò che conta non è cercare la luce giusta, le linee perfette, né tantomeno la valenza estetica del soggetto raffigurato, bensì il messaggio espresso attraverso le immagini, messaggio che viene affidato esclusivamente agli oggetti. La scelta di rappresentare l’uomo non rappresentandolo, mostrando le sue virtù, le sue ansie e le sue contraddizioni attraverso gli oggetti parte da una consapevolezza: gli oggetti non possiedono un’anima, ma finiscono per assorbire quella di colui che li possiede. Gli oggetti parlano di noi, ci raccontano.

La cura che ognuno di noi mette nello scegliere e far proprio un oggetto piuttosto che un altro, il modo in cui lo utilizziamo, lo posizioniamo, la frequenza con cui li utilizziamo, il senso di calma o sicurezza che ci trasmette avere con noi quell’oggetto in momenti particolari della nostra vita, fa sì che essi smettano di essere semplici oggetti inanimati e diventino oggetti di senso, portatori di significato, custodi di ricordi. Ed ecco allora che le scarpe di un padre tanto amato possono diventare le radici ideologiche da cui è partita l’evoluzione della persona; la sedia su cui sedeva una nonna per raccontare le favole alla sua nipotina diventa l’aspirazione di quella bambina ormai donna di far propria quella saggezza e quel pragmatismo misto a creatività che ha respirato, crescendo, tra le mura di casa; il cappello acquistato coi soldi del primo stipendio diviene la vetta raggiunta, lo scrigno che contiene e protegge il più grande dei tesori: la mente; il pavimento pieno di crepe diventa l’imprevedibilità della vita, ma anche l’instabilità dei vent’anni, l’alternanza perenne dei contrari che uccide e allo stesso tempo rende vivi, che scoraggia e allo stesso tempo anima passioni, sogni e speranze; la parete bianca può divenire il vuoto con cui ognuno, prima o poi, si trova a dover fare i conti; ma anche la paura di un inizio o dell’indagare realmente se stessi per scoprirsi diversi da ciò che si credeva. Non esiste una interpretazione univoca. È questa la forza degli oggetti. Tutto può rappresentare tutto perché ognuno utilizza a proprio modo gli oggetti (o addirittura non li utilizza), ognuno gli affibbia un significato diverso, ognuno lo riempie del potere magico di cui ha bisogno”.

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