Un artista, un'opera: GIOIA CALIENDO

P. Gerardo Santella 31 Gennaio 2024
Un artista, un'opera: GIOIA CALIENDO

Gioia Caliendo, nata a San Giuseppe Vesuviano (Na) il 10 Dicembre del 1994, vive a Palma Campania. Ha conseguito la laurea magistrale in arti visive all'Accademia Di Belle Arti Di Napoli, corso di Pittura. La sua attività artistica si esprime nella pittura, dove utilizza i colori ad olio, nella scultura, fotografia, street art e arte digitale. Nella elaborazione delle sue forme espressive vuole riportare alla luce ciò che è stato dimenticato dalla società contemporanea: la "Sensibilità, l’Anima e le Connessioni Umane". Sta lavorando a una rappresentazione della “condizione umana”, ancora in via di evoluzione, ma già presente che dovrà ancora evolversi e ritrovarlo in varie sue altre opere.

Ha partecipato a vari eventi, quali: Street-art, con la realizzazione di un murales nella galleria urbana di Forio di Ischia, lungo due pareti di mt. 3x6; la 28° edizione dell’International Snow Festival Dolomites a San Candido e a San Virgilio, in provincia di Bolzano. Con un team di scultori professionisti ha ideato e realizzato due sculture in due blocchi di neve compatta, dalle dimensioni di mt. 3x3, rappresentando due personaggi della Disney, Elsa di Frozen e Maleficent. A seguire altri eventi di spicco, come la partecipazione alla mostra collettiva per la Fondazione di Luciano Benetton, nel 25 novembre 2018 a Treviso, in occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, Cybercrime e violenza di genere, un tema toccante e profondo. 

Ha partecipato a molte estemporanea dei paesi vesuviani, collettive d'arti con varie associazioni.

Nel marzo 2023 ha esposto tutti i suoi lavori di scultura e pittura in una personale nell’antisala teatrale del Comune di Palma Campania.



L’OPERA

Le opere di Gioia Caliendo, secondo una sua stessa affermazione in un opuscolo di presentazione della sopracitata personale, si ispirano a tematiche psicanalitiche riferite all’es ed ego della teoria freudiana (la parte conscia e razionale del nostro io e la parte inconscia e irrazionale). Una indicazione, dunque, all’osservatore sul modo di guardare, un invito a una lettura “consapevole”, che vada oltre l’impatto percettivo e sentimentale, che si sofferma sulla superfice dell’opera, per considerare anche il background di conoscenze e competenze che si mettono in atto nella realizzazione del prodotto artistico.

Ancora, si possono cogliere anche “segni” dei grandi movimenti artistici del Novecento, in particolare il surrealismo di Dalì e Magritte, la metafisica di De Chirico, echi della filosofia esistenzialistica (l’alienazione della condizione umana nel mondo) e del cinema (gli oggetti raffigurati in alcuni dipinti – una porta semiaperta, una torre solitaria – sembrano inquietanti fotogrammi tratti da un film di Hitchcock). E quest’ultimo riferimento ci porta a dire che le opere di Gioia, siano esse sculture o pitture, hanno come caratteristica principale l’intenzione di trasmettere disagio all’osservatore, di disturbarlo, scuotendolo e portandolo a riflettere sul senso del suo essere e del suo esserci. Ne è esempio la composizione scultorea raffigurata nella pagina.



LA CONDIZIONE UMANA

Premetto che il titolo dell’opera non è stato dato dall’artista, ma sulla base della mia personale lettura.

Su una articolata struttura composta da sei cubi di legno, che può essere guardata da vari punti di vista, si collocano tre omini bianchi: uno si erge in piedi in alto, rivolto a sinistra, il secondo più in basso sta seduto rivolto a destra, il terzo sullo stesso livello è accovacciato chino su se stesso di fronte all’osservatore. Tutti, nudi, asessuati, privi di occhi, orecchie e bocca, e quindi impossibilitati a vedere, udire, parlare, si configurano come figure amorfe e anonime, che richiamano i manichini della pittura meta-fisica (nel senso letterale di al di là della fisica, slegata dalla realtà, tesa a scoprire il lato insolito che si nasconde dietro la normalità della vita quotidiana) di Giorgio De Chirico che, attraverso di essi, richiamava anche poeti e indovini della classicità e la loro capacità di indagare la realtà oltre la sua apparenza fenomenica.

La scena è raggelante: corpi immobilizzati nello spazio in una posa statica, avvolta in un silenzio freddo, in uno spazio che, pur sospeso nel vuoto, si percepisce come claustrofobico, una sorta di trappola, ed esprime una condizione angosciante di solitudine e sospensione. Ognuno è raccolto in se stesso, chiuso in una sorta di scafandro impermeabile agli agenti esterni, i loro sguardi non si incontrano, nella loro posizione non hanno la capacità di vedersi né di dialogare tra di loro, nemmeno con una espressione del volto. Una condizione di straniamento, alienazione che non offre risposte al fruitore, ma sollecita solo domande cui non dà risposta: cosa rappresentano questi omini? Quale è il contesto in cui sono immobili? Perché sono privi degli organi del corpo?

L’artista si esprime in un linguaggio a-logico, ricrea un clima di silenziosa magia, priva di azione, costruisce un mondo “altro”, fatto di spaesamento, mistero, enigma: il repertorio figurativo costituisce, insomma, un universo simbolico da interpretare, dove gli oggetti, rappresentati e accostati in modo insolito, sono la chiave per una possibile e relativa soluzione dell’enigma proposto.

Forse la mancanza di segni, che possano dare una identità ai tre omini, allude alla condizione umana dell’uomo contemporaneo senza alcuna distinzione denotativa, alla sua spersonalizzazione in un mondo in continua mutazione antropologica, che tende sempre più ad avvicinare l’essere umano a una macchina eterodiretta.

Ma a considerare che De Chirico definiva i suoi manichini “pensatori” o “saggi” o “filosofi”, potremmo interpretare l’intera composizione come rovesciamento della precedente ipotesi e intenderla come la forza del pensiero che si oppone alla seduzione della macchina. Psiche che resiste a Tecne.

Ancora una volta l’artista moderno lascia all’intelligenza e alla sensibilità dell’osservatore la libertà / facoltà di interpretazione della sua opera.

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