Un artista, un'opera: LUIGI FRANZESE
P. Gerardo Santella 13 Marzo 2024L’AUTORE: LUIGI FRANZESE
Luigi Franzese nasce a San Giuseppe Vesuviano nel 1952. Comincia la sua attività artistica con opere figurative e, attraverso esperienze surreali, espressionistiche e post-informali, approda, alla fine degli anni ’70, a ricerche neo-concettuali, consolidando sempre più la saldatura tra l’investigazione soggettiva ed emozioni offerte dalla materia.
Nel 1980 nella sua prima importante mostra personale a Napoli, dal titolo Annullamento dei piani come superfici, svolge un interessante discorso sulla spazialità dell’opera d’arte che, oltrepassando lo specifico del quadro, sconfina nella scultura e perfino nell’architettura senza trascurare la pittura. Nel 1990 espone nel Castello cinquecentesco a L’Aquila e nel 2010 viene allestita un’antologica riferita ai suoi primi trenta anni di attività artistica nel Museo civico di Castelnuovo a Napoli.
Scrive l’artista negli anni ‘80: “La Materia, la sua forza, la sua energia, capace di annullare il tempo e lo spazio e poi ricostruirli, mi affascina; il Vesuvio, che vedo ogni giorno, fra i cui sentieri mi inoltro alla ricerca di un silenzio e di un mistero che mi ricollegano alle radici più profonde della vita, da sempre mi accompagna dentro”.
Si tratta, quindi, di una ricerca artistica molto particolare, di cui si sono interessati intellettuali, tra i quali Giulio Carlo Argan, che ha ammirato la finezza e la preziosità della sua arte; Filiberto Menna che ha sottolineato l’indubbia maturità e il contributo tutto particolare arrecato nel contesto di un ritorno della pittura; Franco Solmi che ha evidenziato le ragioni della sua ambigua modernità.
L’OPERA: RETICOLI DI SENSO
Il titolo dell’acrilico su tela di Luigi Franzese prende il nome da quello del volume in versi del poeta Alfonso Cepparulo, che lo ha utilizzato come copertina per illustrare i suoi testi, data la consonanza tematica e stilistica tra i due universi, quello verbale e quello visivo, dei due autori, entrambi caratterizzati sul piano del significato dal topos del labirinto come spazio di smarrimento, scoperta, consapevolezza della propria condizione esistenziale, precaria ma da accettare con la dignità dell’esserci; sul piano dei significanti da una componente materica che investe la scelta sia la parola poetica che del colore pittorico.
Un groviglio di segmenti geometrici, dai colori sgargianti, viola, bianco, azzurro in varie tonalità, che si intersecano e diramano, a formare un labirinto “reticolare”, senza entrata e uscita, centro e periferia: percorsi che ora si contorcono in forme sghembe, ora si distendono in volute elicoidali, ora si contraggono in corpose ellissi, quasi segni alfabetici tracciati su un foglio bianco dalla mano incerta di un bambino. Linee e forme che lo sguardo potrebbe anche ricomporre in oggetti, figure, volti espressionisticamente deformati. Una disarticolazione della composizione pittorica che investe anche il corpo della poesia e il suo continuum discorsivo, determinando effetti di sospensione e bruschi rallentamenti di ritmo che costringono l’occhio a vagare nel vuoto, a riempire lo spazio e il tempo della ripresa del discorso, riannodando i fili slabbrati della tela.
Riflettiamo su questo titolo: Reticoli di senso. Colpisce anzitutto l’ossimoro: reticoli rinvia a un groviglio inestricabile, a una formazione di “isole” attorno alle quali si può girare all’infinito, alla possibilità di perdersi, al rischio di rimanere intrappolati, a meno che (ed è questo il “fare” del poeta) tu non sia capace di tracciare dei segni /la scrittura) che compongono una sorta di filo di Arianna che conduca non a trovare una problematica uscita quanto ad acquisire la consapevolezza della propria condizione esistenziale di finitudine e a dare un senso al fluire del tempo e alle contorsioni dello spazio in cui sei immerso.
Un viaggio dunque, quello all’interno dei segni della pittura e della scrittura, che scuote la memoria, invita a tirare su dai labirinti oscuri dell’inconscio (notate, di passaggio, come la parte inferiore del dipinto si presenta in una dimensione di oscurità rispetto alla chiarità della parte superiore, quasi in una progressiva ascesa dalla zona oscura della psiche alla luce dell’ego) il tempo smarrito, a ordinare i frammenti sparsi della storia in una rete di significati, a superare lo sbigottimento provocato dall’ascolto dell’urlo di angoscia che proviene dal passato, a coltivare ancora una speranza, a disporci all’apertura, al confronto, al dialogo.