Un artista, un'opera: ROBERTO SIMONETTI
P. Gerardo Santella 8 Novembre 2023Roberto Simonetti nasce a Nola, provincia di Napoli, il 6 giugno 1973. Vive a Palma Campania. Si è diplomato al liceo classico "A. Diaz" di Ottaviano, ha frequentato un corso di laurea in Lettere Moderne, alla "Federico II" di Napoli, con indirizzo "Musica, spettacolo e comunicazioni di massa"; senza portare a termine gli studi. Inoltre ha conseguito un attestato di qualifica professionale come "Esperto per la gestione e la promozione dei beni ambientali e culturali".
Coltiva una passione per il disegno artistico fin da bambino e per la poesia. Ha pubblicato tre raccolte di versi: "Versi clandestini", "Metalli in fusione" e "Malanima", le cui copertine sono illustrate da suoi disegni.
Immagini e parole hanno due caratteristiche in comune: il tratto espressionistico, talora “perturbante”, che provoca disagio nell’osservatore/lettore attraverso l’impatto immediato e la trasmissione / sollecitazione di forti sentimenti che dal magmatico groviglio di dentro esplodono sulla tela o sulla carta.
“La creazione artistica - dice Simonetti – è un atto d’amore, che avviene anche attraverso un’azione distruttiva, esprimendo, sempre, la nascita di una goccia di verità”. E quanto al rapporto tra le due arti che pratica, scrive: “Il disegno è espressione muta di un sentimento. La scrittura in versi è dare voce a questo sentimento, pizzicare le corde della propria sensibilità che dal profondo balza in superficie”.
Una inter-relazione tra i due diversi codici espressivi che, sia pure con codici linguistici diversi, tendono a una comunicazione con chi è disposto a fruire, attraverso l’ascolto o la vista, delle sue espressioni artistiche.
Una confessione /desiderio finale: “I disegni li lascio nell'ombra per pudore. I miei versi vorrei venissero conosciuti, sono fiori annaffiati col sangue del dolore”.
L’opera: IL DOLORE
Il dipinto che presentiamo, che ha come titolo “Il dolore”, è stato utilizzato dall’artista per la sua raccolta di poesie Malanima.
Una figura androgina dark, una sorta di malefico pagliaccio venuto su dagli oscuri bassifondi metropolitani, come i personaggi ibridi che popolano avveniristiche città del medioevo prossimo venturo o simile a un essere mostruoso immaginato dalle fantastiche visioni della mitologia greca: volto pallido determinato, fronte alta e superba, orrido sguardo glaciale, un grosso neo sul volto, macchie intorno all’occhio destro e sulla guancia sinistra come di mascara sciolta da lacrime o sudore, labbra rosse, capelli come rami d’albero intrecciati o, come quelli della Medusa, serpenti che si agitano e si attorcigliano su un cranio lucido.
È Algos, il dio dei dolori, che investe le passioni del corpo e dell’anima e domina la nostra vita fino alla morte: Soffochi la speranza / come il capestro il condannato / inietti siero di oscurità / impregnando il cuore di amara passività (Il Dolore) e determina quella condizione di malattia interiore, definita “malanima”, che si esprime nella coscienza della inadeguatezza della volontà nei confronti di una realtà, che non si comprende e non si riesce a modificare.
Gli occhi del Dolore sono una lente deformante, onirica, che sospende il lettore/osservatore tra due mondi: la realtà e un mondo “altro”, o forse nessuno dei due, quel “mondo di mezzo” difficile da definire, che tutti avvertiamo, ma che non riusciamo ad afferrare. Insomma l’incertezza di ciò che è sconosciuto, attraversata da lampi intermittente di luce e di bellezza che effondono nuova linfa.
La sua figura repellente sembra indurre a una condizione di paralisi che smorza la volontà e non realizza la tensione ad andare oltre. Non resta che insistere nell’attesa di un salvifico incontro, forse una figura femminile che faccia da anello di congiunzione tra una vita banale e una vita autentica, sia pure solo nell’immaginazione, anche se non avverrà mai. L’amore fa prendere coscienza che la verità è come una spina nel cuore / più respiri e più ti entra dentro (Naif).
Dipinti quelli di Simonetti, in cui l’autore mette a nudo la sua anima inquieta, ne rivela l’essenza a sé stesso e agli altri e, di fronte alle “lacrimae rerum” - la condizione di sofferenza e dolore dell’esperienza umana -, accetta la sua fragile esistenza con rassegnata virilità, senza cadere nell’inerzia morale, ma ricercando attivamente l’incontro con l’altro: vedo un’anima / da ascoltare e che mi ascolti / con cui condividere me stesso (Vincolo).
Un segno di empatia, solidarietà e amore, che si esprime nel dialogo alla ricerca di un significato comune.