Un artista, un'opera: VITTORIO AVELLA
P. Gerardo Santella 19 Febbraio 2024Biografia
Vittorio Avella nasce a Nola, in provincia di Napoli, nel 1942, e attualmente vive a Nola dove dirige la casa editrice e stamperia d’arte Il Laboratorio, fondata nel 1978 assieme a Antonio Sgambati e specializzata nella realizzazione di libri illustrati. Per le edizioni de Il Laboratorio Avella ha illustrato numerosi testi poetici, tra i quali si possono ricordare Morsura mediterranea di Ada Patrizia Fiorillo (1986); Otto ottave per una casa che non esiste più di Giancarlo Zagni, (1991); Fuga in Brasile con Carlotta Ernstydi Felice C. Simonetti (1991); Vietati i topolini di Lucia Dell’Anno (1992); Orcotomo e la donna savia di Claudio Marchese (1993); Il naufragio di Edoardo Sant’Elia (1996) e Sparigli Marsigliesi di Mariano Bàino (2002). Il suo percorso formativo inizia all’Accademia di Belle Arti di Napoli; nel 1964 Avella si trasferisce a Parigi per seguire i corsi d’incisione all’Ecole des beaux-arts.
Tornato in Italia trascorre qualche anno a Milano, finché nel 1972 torna nella sua città natale; a Nola diventa segretario del Partito comunista locale, organizza e dirige il Centro Arteincontri, nel frattempo partecipa alle più importanti manifestazioni e rassegne in Italia, mantiene contatti internazionali, e dirige la galleria di grafica presso l’editore Marotta di Napoli. Avella si dedica prevalentemente all’incisione, come testimonia, tra le altre, la mostra antologica Del sogno inciso, Palazzo Sasso, Ravello, 2011; il suo lavoro si rivolge tuttavia anche ad altre forme artistiche come ad esempio la lavorazione della cartapesta per i carri delle feste popolari, allo scopo di recuperare vecchie tecniche il cui sapere è scomparso nel tempo e di rivalorizzare il connubio tra artigianato e arte.
(Giovanna Lo Monaco, in Verbapicta.it)
L’incisione, che presentiamo, raffigura Giordano Bruno ed è stata realizzata in occasione del Certamen Bruniano del 2023 come omaggio ai componenti della giuria dell’annuale manifestazione che vede oltre cento studenti, provenienti da tutta l’Italia, cimentarsi in un saggio breve su un argomento di un’opera di Giordano Bruno letta preventivamente dai partecipanti.
Come introduzione alcuni cenni sulla vita e l’opera del filosofo nato a Nola nel1548. A 14 anni si trasferisce a Napoli e tre anni dopo entra come novizio del convento di San Domenico. Nel 1572 è ordinato sacerdote, ma, accusato di eresia, fugge da Napoli e viaggia tra varie città italiane. Abbandona definitivamente l’Ordine e gira tra varie città europee: Ginevra, Parigi, Tolone, Londra, Wittenberg, Praga, Francoforte, Zurigo nelle quali, tra contasti con le istituzioni accademiche e religiose, insegna filosofia e scrive le sue opere. Nel 1591 accetta l’invito del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che lo denuncia all’Inquisizione, che lo arresta per sospetto di eresia. Trasferito a Roma nel carcere del santo uffizio. Si rifiuta di ritrattare le otto proposizioni eretiche dedotte dalla sua opera e, condannato a morte, il 17 febbraio è bruciato sul rogo a Campo dei Fiori, dove oggi sorge la statua che lo ricorda.
Una vita spesa, come scrive Aniello Montano, a smascherare ogni sorta di falsità, a combattere contro gli “asini” e i “pedanti”, da lui considerati incarnazioni e simboli del falso sapere, e della conservazione ostinata, portatori di una filosofia e di una morale improntate alla stagnazione conoscitiva e alla rassegnazione morale. (…) modello vivente della fiducia nelle proprie idee e nella convinzione che la ricerca della verità non sopporta veti, minacce, anatemi, sopraffazioni.
E vi aggiungiamo una osservazione di Aldo Masullo: “La filosofia di Bruno, secondo cui ogni luogo infinito dell’universo è centro, e ogni uomo ha pari dignità con ogni altro, è la base dell’idea politica della democrazia (…). Ogni individuo è libero e portatore di responsabilità piena. Ma proprio perciò nessun capo è assoluto. C’è ordine in una società solo quando tutte le diversità sono ugualmente rispettate”. Una bella lezione per i governanti di oggi, un invito a scegliere nella loro azione “la lanterna della Raggione”.
L’opera: Ritratto di Giordano Bruno
La stessa opera di Avella presenta nello spazio superiore una frase di Bruno, pronunciata davanti ai giudici che lo invitavano all’abiura: “Non devo e non voglio pentirmi. Non so di che cosa mi debba pentire”.
Parole tutte, queste sopra riportate, che permettono all’osservatore di dare una lettura dell’immagine di Bruno, rappresentato nel suo iconico mantello e cappuccio che copre una parte della faccia, ma in cui l’espressione tormentata ma virile e gli occhi dallo sguardo fiero esprimono l’estrema coerenza della sua vita e della sua libertà di pensiero che non si piega nemmeno di fronte alla morte.
Rilevo solo, a livello stilistico, come l’autore abbia scelto per rappresentare i particolari della figura di Bruno un colore rosso ruggine, che non è semplicemente in funzione di dare una patina di tempo passato al personaggio storico. Il rosso richiama, nel suo polo negativo, le violenze subite dal filosofo nella sua vita travagliata, il sangue delle torture patite nel carcere, le fiamme del rogo che bruciano il suo corpo, ma anche, all’opposto, il suo pensero magmatico, esplosivo, che rompe gli argini dei limiti imposti e codificati dagli oscurantismi culturali e religiosi del suo secolo. Segni di vitalità e libertà, irriducibili a qualsiasi tentativo di costrizione in uno schema dommatico predeterminato. E l’ampio spazio bianco, luminoso, che fa da sfondo al volto in primo piano di Bruno, cosa altro può simboleggiare se non la luce della ragione che dirada le tenebre dell’ignoranza?