UN "BRAVO RAGAZZO" NON È UN "RAGAZZO BRAVO"

P. Gerardo Santella 15 Febbraio 2023
UN "BRAVO RAGAZZO" NON È UN "RAGAZZO BRAVO"

Chi ha studiato anche solo un po’ di inglese scolastico, sa che una delle prime regole della sua scrittura prescrive che l’aggettivo precede sempre il nome a cui si riferisce. Non è l’unica lingua europea che si comporta così. Ma in italiano l’aggettivo non ha una posizione fissa: può precedere o seguire il nome.

Spesso non cambia nulla. Posso dire un interessante romanzo, ma anche un romanzo interessante.

Però in alcuni casi il significato della frase cambia a seconda che l’aggettivo sia a destra o a sinistra del nome.

Un esempio è nel titolo che abbiamo dato a questo articolo: un bravo ragazzo ha il senso di un ragazzo buono, educato, disponibile; in un ragazzo bravo lo stesso aggettivo attiene a qualità diverse: la conoscenza e la competenza negli studi o in una attività pratica.

Allo stesso modo un vecchio amico è un amico che conosciamo da molto tempo, un amico vecchio è uno di età avanzata;  un’unica maestra è quella, come nelle scuole elementari di un tempo, che da sola insegnava tutte le discipline scolastiche; una maestra unica ne mette in rilievo l’eccezionalità della sua professione.

In generale possiamo dire che vanno preposti gli aggettivi qualificativi (bella giornata, duro lavoro, lunga attesa), posposti invece quelli che restringono o specificano l’insieme indicato dal nome (la lingua italiana, il cinema francese, un pittore astratto). Avvertiamo solo che i primi ammettono di essere dislocati anche dopo il nome, i secondi no. Chi direbbe l’italiana lingua o il francese cinema?

E i letterati, che uso fanno dell’aggettivo?

La loro scelta di collocazione non è mai casuale, ma sempre funzionale al discorso narrativo o poetico.

Un solo esempio, ripreso da Meriggiare pallido e assorto, una delle più famose poesie di Eugenio Montale, in cui il poeta, sullo sfondo del paesaggio delle Cinque Terre liguri, in una afoso meriggio d’estate, medita sul senso della vita, paragonata a un seguitare lungo una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Nel testo l’aggettivo qualificativo è sempre anteposto: rovente muro, rosse formiche, minuscole biche, tremuli scricchi, calvi picchi, triste meraviglia. Una modalità stilistica per mettere in primo piano la qualità dell’oggetto, che in questo caso è sempre negativa, rispetto all’oggetto stesso. C’è differenza, ad esempio, tra muro rovente e rovente muro.

Nel primo caso si pone l’accento sulla categoria dei muri nell’ambito dei quali si individua la categoria dei muri roventi. Nel secondo caso invece si parte dall’insieme delle “cose roventi” nell’ambito delle quali si individua la categoria dei muri. Gli aggettivi preposti ai nomi in questo caso contribuiscono a formare una dimensione di aridità, asprezza, morte che avvolge la monotonia della chiusa condizione esistenziale e svela l’illusorietà dei segni di vita che sembrano animare lo spazio naturale.
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