Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa

P. Gerardo Santella 1 Marzo 2023
Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa

La mia aula di III° elementare negli anni Cinquanta. Appese a una parete, una accanto all’altra, due cartine geografiche dell’Italia: la prima, fisica, con il marrone dei monti, più o meno marcato, secondo la loro altezza, il verde delle pianure, l’azzurro di laghi, fiumi, mari; la seconda, politica, con ogni regione di un colore diverso, giallo, verde, rosa, marrone.

Il maestro parla delle Alpi, ci mostra la posizione sulla cartina dei monti più alti: Il monte Bianco e il monte Rosa.

 “Il monte Bianco- dice- si chiama così perché è sempre ricoperto di neve; il monte Rosa perché i raggi del sole all’alba e al tramonto lo fanno apparire di colore rosa”.

Ma a me piaceva immaginare che fosse veramente rosa, tanto più, mi dicevo, che era nel Piemonte, che sulla cartina era colorato di rosa.

Che dispiacere scoprire, anni dopo, che Il toponimo italiano Monte Rosa non deriva dalle tinte rosa che colorano il massiccio all'inizio e alla fine del giorno, ma  dal latino rosia, che significa "ghiacciaio".

Racconto questo episodio per introdurre la parola rosa, forse la più polisemantica della nostra lingua per la molteplicità di significati che può avere.

Vediamoli partendo da un famoso verso della scrittrice americana Gertrude Stein: Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa

Una frase sorprendente, che si presta a qualche considerazione proprio per l’ambiguità del nome, ripetuto quattro volte.

E analizziamo questo nome della rosa.  

Cominciamo con il considerare che possiamo trovarlo scritto con la maiuscola Rosa; e allora indica un nome proprio di donna, ma anche un cognome, come il critico letterario Alberto (il cui doppio cognome era curiosamene Asor Rosa) oppure, accompagnato dall’aggettivo “mistica” è riferito alla Madonna.

Se, invece, è scritto con la minuscola, dobbiamo prima considerare se la  o è aperta o chiusa

Se è chiusa, è il participio passato del verbo rodere (rosa dall’invidia) o anche un sostantivo femminile che significa un pizzicore oppure la smania di rodere dei cuccioli.

Se è aperta si apre tutto un ventaglio di significati, sia reali che simbolici:

rosa come simbolo di freschezza e bellezza (sembra un bocciolo di rosa), di mali inevitabili (non c’è rosa sena spine), di dubbiosa speranza (se son rose fioriranno), di raffinata mollezza (essere in un letto di rose);

come un colore (legno rosa); una cerchia di persone tra cui fare una scelta (la rosa dei candidati); lo stesso che rosone, motivo decorativo di forma circolare sulla facciata di una chiesa; l’apertura al centro della tavola armonica di uno strumento musicale a corda; un gioiello a forma del fiore; e nella navigazione (la rosa dei venti), in zoologia e botanica potete ancora trovare elementi che hanno rosa nel loro nome per analogia con la sua forma. E mettiamoci anche la maglia rosa, quella ch indossa il vincitore del giro ciclistico d’Italia.

E chiudiamo con il best seller più venduto in Italia negli ultimi quarant’anni, il libro Il nome della rosa di Umberto Eco, romanzo storico di ambientazione medievale, dove si racconta la misteriosa morte di alcuni monaci in un’abbazia benedettina e l’indagine e la scoperta della verità da parte del francescano Guglielmo di Baskerville, accompagnato dal giovane novizio Adso.

Ma perché si intitola così? Forse la risposta è nelle parole che chiudono il libro e che riportano l’esametro di Bernardo Morliacense, benedettino del XIII secolo: “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus” in cui si esprime l’idea che di tutte le cose scomparse ci rimangono solo i nomi.

E certo nella scelta avrà influito anche La famosa espressione di Gertrude Stein: “Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa”, una struttura giocata a vari livelli:

a livello linguistico, l’uso del codice denotativo è così comune, c’è un ricorso alla ridondanza così palese, una tautologia così evidente che è lecito il sospetto che non ci si voglia dare una semplice informazione e che la rosa nominata quattro volte sia ogni volta una cosa diversa;

a livello semantico la “rosa”, lo ripetiamo, si presta ad una molteplicità di significati: c’è il fiore della rosa, il colore rosa, il nome di donna Rosa, il monte Rosa, la rosa dei venti, la rosa dei nomi, la maglia rosa, il romanzo rosa, la bocca di rosa di una canzone di Fabrizio De Andrè; proverbi e metafore quali: vedere rosa, se sono rose fioriranno, una preparazione all’acqua di rosa, non sono sempre rose e fiori. A parte che rosa si può leggere, come abbiamo detto, anche con la o chiusa e in questo caso diventa participio da rodere. E allora quale rosa è quella de Il nome della rosa del titolo?

a livello simbolico-allegorico la rosa non è un’immagine neutra e rinvia intertestualmente a una serie di riferimenti alla tradizione letteraria italiana: si pensi alla rosa mistica dantesca, alla società esoterica tedesca dei Rosacroce del Seicento, alla “rosa fresca aulentissima” di Cielo D’Alcamo, a “…a sembrar la rosa e il giglio” di Guido Guinizzetti, alla “verginella è simile alla rosa” di Ludovico Ariosto, a “cogliamo la rosa in sul mattino” di Torquato Tasso.

La rosa è carica di troppi rinvii simbolici e il ritrovarla legata in tutti i suoi spessori allusivi è provocatorio e fa nascere i dubbi circa l’assenza di allusività. E allora ci si chiede se la sua apparente sciattezza definitoria non faccia scattare un alto tasso di ambiguità, costringendo il lettore a intenzionare il messaggio sotto altra luce. Il lettore ne risulta depistato, non può scegliere un’interpretazione univoca. Del resto lo stesso Eco, distinguendo tra interpretazione come ricerca dell’intentio auctoris, come ricerca dell’intentio operis, e come imposizione dell’intentio lectoris, invita il lettore a cercare nel testo ciò che può trovarvi «in riferimento ai propri sistemi di   significazione e/o in riferimento ai propri desideri, pulsioni, arbitrii».

La questione della rosa, peraltro, viene presto chiusa dal protagonista di un racconto di Jorge Luis Borges, il giovane Urbas, che vince un concorso di poesia, il cui tema è “la rosa”, presentando una rosa: “le parole, artificiose figlie dell’uomo, non poterono competere con la spontaneità della rosa, figlia di Dio”.

Come dire che il poeta non può riportare concretamente in vita l’oggetto di cui parla. Ma, aggiungo, ce ne può far percepire il colore e il profumo più di una rosa reale, sia pure solo nel ricordo e nell’immaginazione.

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