VESUVIO - OVVERO: come hanno imparato a vivere in mezzo ai vulcani
Luigi De Luca 26 Marzo 2022Napoli.
Una città tra due fuochi: i Campi Flegrei ad Est e il Vesuvio ad ovest.
Un regista, Giovanni Troilo, che firma la regia di un film di genere documentario (Vesuvio-ovvero: come hanno imparato a vivere in mezzo ai vulcani) uscito al cinema il 14 marzo e visibile in sala solo fino al 17. Con la partecipazione, tra i protagonisti, del vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo (voce scientifica che guida la narrazione) l’intento del regista è quello di ricordare a tutti un grande pericolo, ancora troppo silente nell’intero territorio campano, e cioè: la possibilità di un’eruzione catastrofica di quella che rappresenta una delle zone vulcaniche più grandi e più studiate del mondo. «L’idea – come afferma lo stesso Troilo – nasce dalla lettura di un articolo del vulcanologo americano Flavio Dobran, che annunciava una catastrofe in caso di eruzione e prevedeva che nell’arco dei primi quindici minuti sarebbero morte un milione di persone. Inizialmente, pensavamo a un mockumentary, un finto documentario, sul piano di evacuazione ma, incontrati gli abitanti, abbiamo buttato via i copioni perché la realtà superava la fantasia». Un approccio a dir poco neorealista che lo stesso Troilo preferisce vedere con gli occhi del tedesco Herzog e del suo concetto cinematografico di “scassinare la realtà” il cui confine con la finzione diventa sempre più nitido.
E allora, come dei “ladri”, ci si immerge nella quotidianità di Napoli e dintorni, introducendoci attraverso il battito controllato di una vita che si prepara a nascere, quasi a scandire il tempo dell’attesa di quelle donne ricoverate nel reparto di Ginecologia dell’Ospedale del Mare. Se ne percepisce il respiro, sostenuto, come il calore di quel magma compresso nel “gigante buono” pronto ad uscire o come quell’odore pungente dei Campi Flegrei perché «casomai ce lo dimenticassimo, c’è la solfatara che ce lo ricorda». Subito dopo, una scuola di ballo di Ercolano e la spensieratezza di chi non vuole vedere in faccia il pericolo; il costante controllo sui monitor dell'Osservatorio Vesuviano - sezione di Napoli dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia; la conseguente evacuazione ed esercitazione per prepararsi a vivere l’illusione di potercela fare («cchiù e chest’ c’amma fa’?») e la paura è controllata anche perché i «napoletani come il vulcano non si sa quando esploderanno».
A sipario aperto, il Teatro San Carlo spesso ricorrente dietro le quinte, a voler drammatizzare in prova la “messa in scena” di uno spettacolo infernale non ancora previsto.
«Ferma qua Zeus» - dice il vulcanologo al suo cane - mentre la narrazione continua con la voce di uno psicomago che parla della forza attrattiva del Vesuvio «'int' 'a sto fuoc att’ e potenza» dove «non puoi rimuovere la morte davanti all’influenza silenziosa del Vesuvio». Su quella montagna - ci dice - «più animali partecipano dello stesso posto, come la preghiera, dove ci sono più coscienze che agiscono nello stesso momento. È lì che si crea la forza del miracolo». Nel Duomo di Napoli, in una delle sue sagrestie, ancora si sancisce la sacralità di un rapporto rituale che la città attua con il suo protettore tra i tanti suoi protettori, con popolare devozione e costante “esorcismo” per liberarsi dal terrore di non potersi salvare. Tutto si mescola senza distinguersi, senza chiarirsi, come il pianista “esoterico” secondo il quale «il Vesuvio colpirà l’empio ma non chi crede in Gesù e in Dio perché verrà traslato in cielo» oppure Madame Luigia di Soccavo, chiromante col “tuppo nero” che concede a tutti il segno della santa croce prevedendo la data della prossima eruzione. Dunque l’infermo, dove ciò che farebbe difficoltà a bruciare – viene detto alla fine – sarebbe il bacino che circonda Napoli. L’acqua: “benedetta” o “purativa” (come quella prodotta dalla solfurea di Pozzuoli) che naturalmente si vede uscire dall’ultima contrazione ripresa nel Reparto di Ginecologia. C’è il parto! Una nuova vita che nasce nel comune pianto lì dove «il mare è comune a tutti, il vulcano è dato a pochi, i Campi Flegrei solo a Napoli».
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